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Si fa presto a dire bianco e nero! Tecniche di post produzione per la fotografia in bianco e nero.

colori

Un tempo era tutto più semplice: per ottenere un’immagine in bianco e nero era sufficiente scattare usando una pellicola in bianco e nero! Ovviamente non era affatto più semplice ma è evidente e scontata la differenza che c’è tra scattare in bianco e nero su pellicola e scattare un RAW, un file digitale.

Certo potremmo prendere una macchina digitale che fa solo bianco e nero, come la Leica Monochrome, tuttavia non credo che questa camera sia esattamente alla portata di tutti! In alternativa potremmo scattare dei file jpg impostando il contrasto che ci piace già in macchina e il risultato non sarà niente male, una discreta resa e un file a cui la camera avrà già applicato tutta una serie di correzioni per mascherare i difetti della lente (correzioni che noi invece dovremmo fare manualmente se partiamo da un file RAW). Se poi in post produzione abbiamo la capacità di lavorare in maniera selettiva sulle aree che ci interessa evidenziare, il gioco è fatto.

D’altro canto ho conosciuto persone che dichiarano di preferire le JPG ai RAW e di essere in grado di farci qualsiasi cosa che noi comuni mortali riusciamo a fare con un RAW… ma questo è un altro discorso 🙂

La realtà è che fare fotografia in bianco e nero partendo da un file a colori offre molto più controllo rispetto ad uno scatto in bianco e nero. Come si fa ad ottenere un file in bianco e nero partendo da una foto a colori in Photoshop?

È semplice, basta cliccare su Immagine / Regolazioni / Togli saturazione. Bello vero? No! Per altro questa tecnica in alcuni casi incrementa il rumore del file.

Allora potremmo cliccare su Immagine / Metodo / Scala di grigio e Photoshop (se non abbiamo disattivato l’alert) ci chiederebbe “Intendete eliminare le informazioni sul colore?”… Ma quali informazioni? sarebbe la domanda che dovremmo porre a nostra volta al software. Confermando la scelta Photoshop elabora una sua media, fa fuori i nostri tre canali (rosso, verde e blu) e ci lascia un unico canale (grigio). Anche in questo caso non abbiamo avuto alcun controllo sulla conversione e ci ritroviamo con uno sfigatissimo file a 8 bit contro i 24 (8 per canale) da cui eravamo partiti.

Un’altra tecnica consiste nell’applicare una mappa sfumatura sul nostro livello. La mappa sfumatura è una gran figata: noi scegliamo due colori e lui con uno sostituisce tutte le parti chiare dell’immagine e con l’altro quelle scure, facendo le dovute interpolazioni. Per crearla è sufficiente cliccare sul pulsante che appare come un cerchio mezzo bianco e mezzo nero in basso sulla palette dei livelli (Photoshop suggerisce “Crea un nuovo livello di riempimento o di regolazione”). Se come colori scegliamo bianco e nero il risultato è un’immagine in bianco e nero già più contrastata rispetto alle prove fatte finora. Niente male, tranne per il fatto che anche in questo caso non abbiamo controllo sulla conversione e inoltre qualcuno lamenta il fatto che questa tecnica crei delle strappature, cioè delle posterizzazioni.

Sempre dallo stesso cilindro, pardon pulsante, dal quale come per magia è venuta fuori la mappa sfumatura, possiamo creare un livello di regolazione bianco e nero. Bene questa è la prima tra le tecniche viste finora che offra controllo sul risultato. Il problema è che un neofita che si trovi di fronte tutte quelle simpatiche slide senza avere idea di che tipo di effetto abbiano sul file… farà sicuramente danni, cioè creerà le strappature di cui sopra.

E quindi come faccio a creare un bianco e nero avendo sotto controllo in maniera esatta il risultato? Facciamo una premessa. Qualche riga fa abbiamo fatto riferimento ai tre canali di un’immagine a colori. Il rosso, il verde e il blu sono i tre canali che compongono un’immagine a colori quando viene generata da una fotocamera. Do per scontato che conosciate tutti la sintesi additiva e che sappiate quindi che i colori primari (da cui si ricavano tutti gli altri) sono il rosso, il verde e il blu (da ora in avanti li chiameremo con le loro iniziali in inglese, quindi R, G e B). Questo vale per la luce (proiettori, monitor, ecc) mentre per i pigmenti (colori a tempera ma anche inchiostri e toner di stampanti…) si fa riferimento alla sintesi sottrattiva, in funzione della quale i primari sono il ciano, il magenta e il giallo (C, M e Y). Sommando tutti e tre i colori non otteniamo un nero profondo, per questo motivo ci serve aggiungere un Key color (K) che è di fatto un nero (il key color è quello usato per crocini e segni di taglio in tipografia, mentre qualcuno sostiene che la K sia stata scelta perché è l’ultima lettera della parola “blacK”). La situazione è estremamente più complessa e non voglio in questo articolo fare riferimento a concetti quali il gamut o i profili colore, anche se vi invito ad approfondire tutti gli spunti offerti finora qualora non li conosceste già bene. Volendo esprimerci in maniera semplice potremmo dire che abbiamo bisogno di codificare un file in RGB se il nostro output è un monitor e in CMYK se l’output è una stampante con soli quattro inchiostri (ciano, magenta, giallo e nero per l’appunto). Un file RGB ha 3 canali, mentre un file CMYK ovviamente ne ha 4. Tutti questi canali sono visualizzabili nella palette canali di Photoshop. Se visualizziamo un solo canale alla volta ci rendiamo conto che R, G e B sono di fatto 3 immagini in bianco e nero ma con caratteristiche differenti. E se convertissimo l’immagine in CMYK (anche qui la situazione è più complessa ma semplifichiamoci la vita cliccando su Immagine / Metodo colore / Colore CMYK) avremmo 4 canali, quindi 4 immagini in bianco e nero diverse dalle 3 di prima!

Esiste un altro metodo colore estremamente utile che è il LAB. Anche rispetto a questo consiglio a tutti un approfondimento, magari frequentando un Color Correction Campus con Marco Olivotto ma per il momento limitiamoci a cliccare su Immagine / Metodo / Colore Lab. Anche in questo caso abbiamo 3 canali e 3 immagini. La a e la b risulteranno strane a prima vista mentre la L sarà un’ottima immagine in bianco e nero. Per ora vi basti sapere che il metodo Lab è l’unico che divide le informazioni del colore da quelle della luminosità e la L è proprio la nostra luminosità, priva di tutto il colore (che sta in a e in b). A questo punto avrete capito perché Marco Olivotto, Antonio Manta e tutti i maggiori esperti di Photoshop vanno in giro dicendo che le loro immagini hanno 10 canali (R, G, B, C, M, Y, K, L, a, b) e non solo 3 (R, G e B).

E avrete capito anche il fine di tanto scrivere. Per creare la nostra immagine in bianco e nero possiamo scegliere tra 10 immagini (8 in realtà, visto che a e b si usano principalmente per altro) già in bianco e nero. Il controllo a cui facevo riferimento prima consiste proprio nella possibilità di scegliere a partire da quale canale creare la mia foto, applicandoci sopra una parte di uno o più canali.

Agli smanettoni consiglio un’applicazione molto utile che si chiama CPT (Channel Power Tools) che consente di recuperare tutti i canali senza cambiare metodo colore.

Nel prossimo articolo farò un esempio pratico su come applicare i concetti espressi finora.
Stay tuned 🙂

Leggi anche I canali, una moda che non tramonterà mai!

Channel-preview

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8 Commenti

  1. Alessandro, grazie mille per la menzione che mi fa molto piacere. Vorrei aggiungere poche righe al tuo post molto interessante, con un paio di considerazioni importanti dal punto di vista qualitativo dei risultati.
    La prima è che è vero che abbiamo (almeno) dieci canali a pronta disposizione, che si riducono a otto a causa della strana natura dei canali a e b di Lab. Ma è anche vero che per strada ne perdiamo almeno altri quattro, perlomeno come “basi” per produrre un bianco e nero. Mi riferisco ai quattro canali CMYK: i primi tre perché, a causa del fenomeno della migrazione del contrasto e delle ombre nel nero (GCR) non sono quasi mai buone basi di partenza per un bianco e nero, a differenza di RGB; il quarto perché, a meno di generazioni del nero piuttosto assurde, è invariabilmente troppo chiaro. Questo non significa però che i canali in questione siano inutili: al contrario, sono utilissimi come sorgenti di blend, ovvero di fusione. Una tecnica, ad esempio, è utilizzare un nero molto leggero in metodo di fusione Moltiplica sopra una scala di grigio data per rinforzare le ombre. Con il bonus, tra l’altro, che quel nero può essere sottoposto individualmente a maschera di contrasto con dei risultati assai interessanti.
    Diverso il discorso per L: è una scala di grigio full-range a tutti gli effetti, ma ha una strana distribuzione tonale (di solito è in media più chiaro dei suoi fratelli RGB), e può essere un’ottima o pessima base di partenza, a seconda dell’immagine. Esiste però una tecnica (nota nella sua base come tecnica di Gorman-Holbert) che ho applicato parecchio e che si basa proprio su una manipolazione interessante di L, e magari ne farò un articolo sul mio blog. RIsulta molto interessante, soprattutto per la sua versatilità, soprattutto nei ritratti, e permette una generalizzazione a immagini virate che personalmente trovo molto potente e controllabile.
    Grazie ancora, a presto!

    1. Ciao Marco, grazie a te per il tuo intervento. Ovviamente sono d’accordo con tutto quello che scrivi. A me interessava soprattutto il principio fotografico e “autoriale”. Da un certo punto di vista troverei più sensato lavorare su un progetto in bianco e nero usando solo il K ad esempio per tutti gli scatti che lo compongono (magari operando anche delle scelte adatte in fase di scatto) piuttosto che utilizzare un filtro precotto o peggio delle tecniche “inadatte”.

      In camera oscura i fotografi hanno sperimentato tantissime tecniche anche “off camera” per oltre un secolo e in un certo senso trovo che una gestione intelligente dei canali possa coincidere concettualmente con tutto quel tipo di approccio alle tecniche di stampa chimica, ma in epoca digitale 🙂

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