Sono molto contento di essere diventato un fotografo professionista.
La parola “artista” non mi è mai piaciuta. Troppa gente fa uso delle parole “arte”, “artista” o peggio “nudo artistico”.
Preferisco di gran lunga il termine fotografo che identifica in maniera chiara e senza alcuna pretesa di altro tipo che la persona in questione si occupa di fotografia, magari a livello professionale. Anche perché la differenza di fondo tra chi fa fotografia solo per passione e chi ne fa una professione è che, nel bene o nel male, il professionista riceve continuamente feedback dal pubblico. Non intendo affermare che amo il lavoro di tutti i professionisti, anzi credo fermamente che i feedback positivi siano spesso frutto di un bagaglio inadeguato, di poca cultura. Se la gente comune fosse più abituata a vedere fotografie, film e a leggere libri, molti professionisti non avrebbero vita lunga non c’è dubbio. Ma è innegabile anche il contrario e cioè che, nel bene o nel male, un professionista tiene aperta la saracinesca o se “vende pellicole” (e ormai non se ne vendono più) o se ha clienti che gli comprano le foto. Per il professionista dunque la fotografia è vita, anche intesa in termini di necessità primarie.
Chi invece fa foto per pura passione ha sicuramente maggiori possibilità espressive e di ricerca che al fotografo vengono spesso negate dalla contingenza, cioè dagli impegni quotidiani, dalla fotografia commerciale che deve fare per vivere. Ma siamo davvero così sicuri che qualsiasi amatore, anche il più talentuoso sarebbe in grado di destreggiarsi bene in contesti commerciali?
Sono molto contento di essere diventato un fotografo professionista. Quando qualcuno ti chiama nel bel mezzo della notte e tu afferri l’attrezzatura ed esci a lavorare, per me significa essere un vero professionista, quando riesci a consegnare al giornale o alla rivista esattamente ciò di cui avevano bisogno. Questo è quello che ho sempre voluto ottenere: essere pagato per il mio lavoro, perché “funziono”.
Thomas Hoepker
bella riflessione. forse troppo manichea…
Dualismo sclerotico tra gli “artisti” e i “funzionari”, dilettanti e professionisti (posto che l’equazione “artista-fotografo artistico sta all’amatoriale sia quanto meno ambigua)”. La “cacca” può giacere sia sotto specie amatoriale sia sotto specie professionale. La cacca è cacca, in assoluto, unica, eterna e immutabile. Capita spesso che parte dei feedback positivi si ricevono in base ad un background di riferimento, spesso si fa leva sull’ignoranza o sui fenomeni d’integrazione sociale locali che impongono metodi fondati sul consenso o sull’amicizia o affiliazione. E’ vero che per professionismo (cito da dizionario) si definisce un’attività esclusiva, continuativa e retribuita. Ed è vero che siamo tutti influenzati dalla necessità di soddisfare dei bisogni primari, come continuare ad aprire una saracinesca. Ma è anche vero che Inaki Aizpitarte (chef internazionale) fa da mangiare, lo fa in maniera esclusiva, continuativa e sotto compenso. E se ciò non bastasse soddisfa due bisogni primari: il suo e quello di chi mangia. Ma sicuramente non lo vedremo mai ad una sagra della sarciccia (o forse sì). Io credo che il discrimine (che vale anche per i professionisti che si occupano di attività borderline, non esclusivamente manuali e non esclusivamente intellettuali) sia la capacità trasformare un bisogno primario (che può essere anche evacuare ) in un valore estetico, sociale e culturale. Capisco che il tuo discorso abbia un referente oggettivo e condivido appieno la riflessione relativamente al destinatario. Ma in termini generali e assoluti, non posso condividere, per vocazione, un’impostazione che faccia dell’essere umano lavoratore e professionista un mero esecutore manuale funzionale efficiente e soddisfacente bisogni primari soggiacente alla logica della domanda.
Spero di non essere stata off topic.
eheheheh bè il professionista è questo… la differenza è che la risposta alla domanda può avvenire in maniera “autoriale” o da mero esecutore… no? buona parte dei più grandi fotografi del passato non erano “artisti” come “base di partenza”, bensì fotografi che spesso lavoravano su committenza, però erano talmente bravi come professionisti che hanno lasciato segni indelebili nella storia della fotografia e dell’arte.