Il viaggio più lungo del comandante
11 settembre 2020, dopo una notte insonne, alle 12.30 le onde colpivano già la nave con impeto e regolarità.
Io, marinaio di coperta, cercavo di sistemare ogni cosa, illuso di poter risolvere tutti i sospesi prima dell’arrivo a destinazione, per poi dedicarmi a voi due in maniera esclusiva. Prima dell’imbarco il tampone Covid, nella speranza di starti accanto durante le ore più lunghe, tra la paura che ce lo impedissero e l’incertezza causata dall’isteria dei cambi continui di procedure e disposizioni.
Una volta salpate le ancore hai continuato il tuo travaglio, ora per conto tuo, ora accanto a me. Il reparto era quasi deserto e in una cabina buia aspettavamo in compagnia l’uno dell’altra e sempre più stanchi, il prossimo flutto.
Eri sola nel letto alle 22.00, quando hai sperimentato l’alluvione. Io trepidante, tu impaurita. “Non ce la faccio” è la frase che ti ho sentito ripetere mille volte durante i nostri viaggi passati. Conosco il valore della parola e so che puoi affrontare qualsiasi spedizione se lo desideri e crei le condizioni perché il progetto si realizzi. Mille volte ho provato a insegnartelo e anche quella notte ti ho sentito ripetere la frase… ma solo in un paio di occasioni. Mi hai fatto sperimentare il reale significato delle mie prediche. Le hai messe in pratica in un modo che non conoscevo e non pensavo possibile. Il cambiamento richiede molto impegno e di rado diviene un processo completo. Tu sei cambiata in una notte. Dopo ogni ondata eri più stanca e al tempo stesso più determinata. Ti ho vista spostare il limite, allontanarlo da te, minuto dopo minuto. In principio le onde sembravano insormontabili, poi hai imparato a cavalcarle. Come le montagne russe su cui siamo saliti quando ancora non sapevi di aspettare Gabriele: cinque giri della morte al Winter Wonderland di Hyde Park. Io bianco di paura, tu felice come una bimba, l’embrione spericolato.
Tra un’onda e l’altra speravo che riuscissi a riposare e chiudevo gli occhi a mia volta, cercando energie utili per starti accanto durante l’ultima prova. Verso le 4.00 ci hanno trasferiti nella sala di comando, ormai avevo imparato a leggere l’arrivo delle maree dai grafici e provavo a darti il ritmo, avvisarti e incoraggiarti. Ho capito quasi subito che non era necessario. Eri tu il comandante della nave, e avevi il pieno controllo dell’imbarcazione, nonostante le condizioni meteo avverse. Ritmo, forza e determinazione. “Scoprirete una forza che non sapevate di avere”, sembra una frase trovata in un biscotto della felicità. Ho realizzato in seguito quanto potesse essere vera. Tu me lo hai insegnato. 4 chili e 180 grammi, “se lo avessi saputo prima mi sarei impaurita” hai detto, non è così.
Gabriele ha già imparato il gioco del nascondino, come biasimarlo. Ecco la testa che si affaccia al mondo e poi torna indietro, di nuovo, un’altra volta. Tu pensavi di essere ancora nella fase preparatoria, eppure erano già passate le nove di mattina. La tua determinazione ha sconfitto qualsiasi stanchezza. Il comandante sta conducendo la nave verso un porto sicuro e il mare sempre più grosso è una tavola, visto coi suoi occhi.
Paura quando il comandante in seconda ha capito che il piccolo aveva la mano appoggiata alla testa. Cercavo di non farti percepire la tensione e trasmetterti serenità. “Quando la testa sarà fuori non dovrai più spingere ma soffiare e lasciare che il piccolo trovi da solo la strada”. Contrordine: dovrai spingere fino alla fine. Sangue freddo invidiabile da parte del tuo vice.
L’approdo alle 9.44. Eri incredula e spaventata. Ho avuto timore che ti perdessi una volta raggiunta la terra. Un minuto lunghissimo per tornare in te e godere dei complimenti per l’immane lavoro svolto e il successo ottenuto. Confusione, mille indicazioni, punti di sutura, ancora sofferenza, mentre lui, nudo sulla tua pelle nuda, sentiva di nuovo il tuo odore, ascoltava il tuo cuore e trovava per la prima volta il tuo seno. Nessuna gelosia, anche se sarà di un altro uomo.
Finalmente da soli, puoi iniziare a fare la conoscenza con il nuovo arrivato. Io sempre accanto a te.
La mia presenza di certo non è stata indispensabile. Ma che gioia e profonda gratitudine aver visto all’opera un comandante di esperienza come te. Ho acquisito coscienza, in minima parte, di cosa significhi vivere un viaggio così avventuroso. Non sarebbe stato lo stesso se ti avessi aspettato sulla banchina, al riparo.
I compiti che la natura ti ha assegnato, supereranno sempre qualsiasi mia cura.