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Fotografie che pongono domande?

Negli ultimi anni ho espresso in diverse occasioni un’idea: adoro che le fotografie che pongono delle domande, invece di offrire risposte. Le immagini di fronte alle quali ci troviamo spiazzati, invece di avere conferma di ciò che conosciamo già o ci aspettiamo di vedere, sono, dal mio punto di vista, le immagini più interessanti.

Si potrebbe pensare che io stia sostenendo che le fotografie debbano essere a tutti i costi “strane”. Ebbene, anche ammettendo una certa fascinazione nei confronti di una certa fotografia contemporanea che suscita una sensazione di straniamento, ritengo che, pur all’interno della ricerca di una certa originalità (ammesso che sia possibile essere originali), l’aspetto più importante sia l’onestà con cui si cerca la propria fotografia.

A tal proposito vorrei fare un esempio che ha molto a che fare con la semplicità che è, a mio avviso, un altro degli aspetti fondamentali per una “buona” fotografia.

Fotografie che pongono domande, sguardo lento, fotografia di paesaggio

Quando ho scattato questa fotografia non era la prima volta che visitavo questo luogo. Si tratta di uno dei tanti esempi di speculazioni edilizie nella provincia di Reggio Calabria e, nello specifico, nei pressi di Cardeto, in Aspromonte – anche se, come spero sia evidente, non sono interessato a produrre immagini “di denucia” quanto piuttosto fotografie che suggeriscano riflessioni. Avevo già diverse immagini di questo posto in archivio, alcune delle quali molto suggestive, perché scattate in inverno e in presenza di banchi di nebbia. Sembrava di trovarsi di fronte alla scena di un film, ma il rischio del cliché era troppo alto e quindi ho deciso di tornare diverse volte in questo luogo per cercare la fotografia migliore.

Ero molto soddisfatto di questa fotografia, perché è un’immagine che genera nell’osservatore un sorriso, anche se amaro. Chi la vede non può fare a meno di leggere il paradosso che viene generato dal confronto tra il cartello “centro abitato” e il villaggio sullo sfondo, evidentemente disabitato. Con un certo stupore qualche tempo dopo mi sono trovato di fronte a una fotografia molto simile alla mia: uno studente della facoltà di Architettura di Reggio Calabria aveva avuto la mia stessa idea! Nulla di strano per carità, però ho iniziato a mettere in dubbio la bontà della mia idea e, di conseguenza, di questa fotografia.

In seguito mi sono trovato a parlare con la mia amica Chiara Ruberti che mi ha confidato che la presenza del cartello “le dava fastidio”. Ho riflettuto a lungo sulla sua frase, fino a capire quale fosse il problema: la presenza del cartello costringe l’osservatore a una lettura univoca dell’immagine. Non lascia spazio all’immaginazione! E questa è proprio una delle mie paure più grandi quando scatto fotografie.

Fotografie che pongono domande, sguardo lento, fotografia di paesaggio

In genere non amo riquadrare le mie fotografie, preferisco “cercare” la fotografia in fase di scatto, portando a casa diverse versioni dell’immagine, per poi selezionare la migliore in un secondo momento. In questo caso ho fatto un’eccezione ritagliando la fotografia, fino ad eliminare la scritta sulla destra. A primo impatto l’immagine sembrava aver perso smalto ma, in seguito a una lunga riflessione, mi sono reso conto di quanto invece questa nuova versione della fotografia dia la possibilità di spaziare al suo interno con assoluta libertà, offrendo quindi all’osservatore la possibilità di leggere con la giusta lentezza tutti i dettagli del paesaggio inquadrato e di farsi una propria idea su ciò che sta guardando.

Il risultato dunque è una fotografia solo in apparenza più banale, ma che offre la possibilità di un viaggio personale e unico a chi ha voglia di fermarsi a guardarla.

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