Ghirri, l’essenziale e la sintesi in fotografia
Consiglio a tutti la lettura del libro “Lezioni di fotografia” di Luigi Ghirri edito da Quodlibret Compagnia Extra.
Quando noi fotografiamo, vediamo una parte del mondo e un’altra la cancelliamo.
Il mio non è mai un aggiungere, ma un togliere, sia dal punto di vista del contenuto dell’inquadratura sia nel tentativo di spogliarmi il più possibile per arrivare a una forma di comunicazione il più possibile semplice. Un dato che non dico contraddistingue, ma che trovo straordinario in tutta la fotografia che mi interessa, è proprio questa semplicità di rappresentazione.
La fotografia è sempre un escludere il resto del mondo per farne vedere un pezzettino.
Ritengo fondamentale la semplicità nel rapportarsi con il soggetto, quindi anche nella costruzione della rappresentazione.
[…] l’inquadratura. Ci troviamo di fronte a un problema fondamentale, a una delle basi della fotografia. Il rapporto tra quello che devo rappresentare e quello che voglio lasciare fuori dalla rappresentazione.
Questo è il problema fondamentale della fotografia, cioè sapere esattamente che cosa voglio rappresentare, e cosa voglio comunicare con la mia immagine.
Per quanto riguarda la fotografia il problema determinante è quello di ritagliare da uno spazio sterminato del quale siamo osservatori un quadratino, un rettangolo, una sezione rotonda.
La fotografia è essenzialmente un dispositivo di selezione e attivazione del vostro campo di attenzione.
Invece la scelta dell’inquadratura è un lavoro profondo sul sistema di rappresentazione, sulla scoperta di una realtà che è presente all’interno della realtà.
Insomma, la fotografia consiste essenzialmente in due cose: prima di tutto nel riuscire a capire cosa è necessario includere all’interno dell’immagine. E questo è uno dei dati fondamentali, anzi, secondo me, è il dato fondamentale. Il secondo aspetto riguarda il come riuscire a dare a questo ritaglio del mondo esterno – attraverso il rapporto con la luce, con lo spazio, con il momento – una sua valenza comunicativa. […]
Siamo ancora sul problema dell’inquadratura, di quello che dobbiamo mostrare e quello che non dobbiamo mostrare o addirittura dobbiamo cancellare.
[…] Cartier-Bresson non ha praticamente mai cambiato obiettivo, ha sempre utilizzato un grandangolo, un 35 mm. Questo consentiva una velocità d’azione, che si perde se si deve decidere quale focale adoperare, cambiare obiettivo, mettere a fuoco… mentre per Cartier-Bresson questa possibilità d’interazione immediata era essenziale. Tutte le sue scelte tecniche sono funzionali alla sua sensibilità. Ha ridotto la tecnologia al minimo, scartando, eliminando azioni comuni agli altri fotografi per arrivare a parlare in un determinato modo, a rappresentare in un determinato modo. Il nodo fondamentale è quello di riuscire a razionalizzare e semplificare, per arrivare a costruirvi un repertorio di operazioni che per una serie di ragioni diverse ora vi sembrano complicatissime. Invece si tratta proprio di dimenticarsi di avere a che fare con qualcosa di complicato. Vedete come i grandi fotografi della storia, girando con una macchina, un obiettivo e basta a tracolla hanno fatto un grande lavoro. […]
Come si arriva a questo risultato? Il primo passo è la semplificazione dell’attrezzatura. Questo vi permette di approfondire quello che state facendo. Allora è meglio, all’inizio (e questa è esperienza mia personale), se si ha disponibilità economica e interesse, lavorare sulla fotografia, più che sugli strumenti.
Credo che la fotografia consista essenzialmente in un’operazione di cancellazione del mondo esterno.
[…] la luce può diventare un colore di altro genere, determinare relazioni misteriose, potenzialmente affascinanti. Penso che questo possa avere una sua fascinazione, e mi interessa proprio questa interrelazione fra zone in cui si deve vedere e zone in cui non si vede tutto, in cui non è necessario vedere tutto. […]
Il fascino dell’immagine sta anche nel trovare un equilibrio tra quello che si deve vedere e quello che non si deve vedere. Non deve essere una fotocopia della realtà.
E ora l’ultima citazione che forse ha poco a che fare coi concetti espressi fino a ora, ma di certo è una delle definizioni di fotografia più emozionanti che siano mai state scritte.
Il grande ruolo che ha oggi la fotografia, da un punto di vista comunicativo, è quello di rallentare la velocizzazione dei processi di lettura dell’immagine. Rappresenta uno spazio di osservazione della realtà, o di un analogo della realtà (la fotografia è sempre un analogo della realtà), che ci permette ancora di vedere le cose. Diversamente, al cinema e alla televisione la percezione dell’immagine è diventata talmente veloce che non vediamo più niente. È come riuscire, una volta tanto, a leggere un articolo di giornale senza che qualcuno ti volti in continuazione le pagine. È una forma di lentezza dello sguardo […]
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