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Fotografia urlata e fotografia sussurrata

Filippo Romano
(c) Filippo Romano

Tutti quanti conoscono l’opera “Guernica” di Pablo Picasso. Si tratta di un quadro sul quale mi sono molto interrogato nel corso degli anni. Ne riconoscevo la valenza in termini di denuncia e di documentazione storica ma non riuscivo a coglierne il valore estetico.

Un giorno, come per magia, ho guardato Guernica con occhi diversi. Ho avuto l’impressione di aver colto il sistema fitto di relazioni che ci sono tra i vari elementi contenuti nell’opera, di averne percepito l’equilibrio nella distribuzione dei pesi. Di certo ero riuscito a “vedere l’autore” (o a cogliere alcuni aspetti del suo lavoro) che è un’esperienza che mi affascina sempre, perché mi consentre di comprendere la ricerca ed essere certo della non casualità di un risultato.

Qualcosa di simile è accaduto di recente, durante un incontro con Filippo Romano, un fotografo noto e apprezzato nel panorama italiano, ma forse non abbastanza “di tendenza”. A giugno abbiamo organizzato una serata durante la quale sono state proiettate le fotografie che compongono il suo lavoro “Statale 106”. In quell’occasione è stato possibile parlare con l’autore e approfondire la conoscenza di questo lavoro, delle metodologie operative adottate e anche delle scelte estetiche. Mi hanno colpito diversi aspetti, tra cui: l’idea progettuale forte; la scelta di non fare riferimento alla pericolosità di quella strada (da tutti soprannominata “strada della morte”); la ricerca narrativa che si muoveva su differenti canali (le foto di architettura, i ritratti, le polaroid con i ritratti autografati dai soggetti); la scelta del formato quadrato, inusuale quando si fotografa il paesaggio; una leggera sovraesposizione di quasi tutti gli scatti, necessaria per ottenere determinati colori. A quel punto era chiaro quanto Filippo avesse ricercato esattamente quel tipo di risultato. Forse solo dopo essermene reso conto ho iniziato davvero a guardare le sue fotografie.

Oggi siamo abituati a vedere immagini molto contrastate, con dei neri fortissimi e una post produzione decisamente evidente. Anche i temi trattati e i soggetti scelti sono spesso forti (ricordo ad esempio la violenza di molti scatti che hanno vinto il World Press Photo nel 2011). È come se al giorno d’oggi non ci fosse più il tempo per guardare davvero le immagini e, anche a causa di una crescente assuefazione del pubblico all’immagine violenta, l’unico modo per “farsi notare” sembra essere la scelta di temi forti, trattati con uno stile sempre più crudo e con editing altrettanto impattanti.
Le immagini di Filippo, al confronto, corrono quasi il rischio di passare inosservate. Solo se ci si sofferma e si dedica il tempo giusto, cioè quello necessario per vedere davvero qualsiasi immagine, si riesce a cogliere la bellezza dei suoi scatti che definirei lirici.

Una delle esperienze che mi hanno più arricchito lavorando all’interno del team di Miss Italia in quest’ultima edizione al fianco di persone splendide come Luigi Saggese, Daniele La Malfa e Federica Leonelli (i primi due fotografi, Federica grafico della Miren) è stato un dialogo fatto proprio su un lavoro di Luigi, durante il quale una signora, nei confronti della quale nutro una stima infinita, mi ha confessato di preferire il lavoro che un altro fotografo aveva fatto con le miss. In effetti questi scatti erano decisamente più d’effetto, tuttavia io ho provato a spiegare quale fosse la difficoltà insita nel modo di lavorare di Luigi. Ritengo sia più semplice ottenere un certo risultato in studio, potendo controllare lo sfondo, l’illuminazione ed evitando qualsiasi tipo di disturbo che invece si presenta in maniera “random” quando si lavora in esterna. Inoltre Luigi ha creato un linguaggio che ha usato per tutti i ritratti, realizzati con la stessa profondità di campo e con una cura maniacale per la ricerca della giusta armonia (o del giusto contrasto) tra la figura e lo sfondo. Insomma un progetto estremamente più raffinato, ottenuto in condizioni decisamente più complesse. “Però se mostri il risultato ad una persona non esperta preferirà l’altro fotografo“. Certo! Tuttavia sono convinto del fatto che il problema non sia relativo alla qualità di un lavoro, quanto alla capacità di giudizio della massa. È logico preferire il risultato con l’impatto visivo maggiore se non si hanno termini di paragoni. Ma se si comincia ad osservare la produzione di molti fotografi, forse ci si renderà conto del fatto che è proprio la diversità a rappresentare valore. Inoltre Luigi col suo lavoro si è praticamente messo a disposizione delle ragazze, dei loro volti, della loro bellezza, mentre in altri casi è più spudorato il fatto di sfruttare contesti simili per far mostra della propria arte. L’approccio è diametralmente opposto.

Forse dovremmo smetterla di farci impressionare dal risultato più facile, provando invece a prenderci il tempo necessario per la reale fruizione di qualsiasi produzione artistica, avendo avuto cura di esserci preventivamente creati un bagaglio sufficiente per poter tentare un confronto.

Miss Italia 2011
(c) Luigi Saggese

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